Quando si parla dei Fratelli Grimm si tende a mettere in evidenza gli aspetti più truculenti, cupi e profondamente tetri delle loro fiabe: la cultura nordica, in particolare quella tedesca, ha acquisito con questi racconti uno spirito indipendente, libero dal peso dell’invasione delle truppe francesi. I due bibliotecari, amanti della letteratura, delle scienze e della natura (in particolare dei fiori) si dice conducessero una vita agiata, placida, lontana dal frastuono di una società sempre più prepotentemente moderna. Il valore della fiaba (con protagonisti uomini) da non confondere con la favola (interpretata da animali) ha costituito e ancora costituisce una risorsa necessaria per preservare le radici culturali di un Paese e del proprio popolo: si pensi all’importanza che ha avuto la novella tramandata nel tempo di generazione in generazione. La poetica espressa dagli autori di Kassel presenta una serie di sfide ingaggiate da esseri puri, i bambini, sconvolti da gravi episodi di sofferenza necessaria per raggiungere una benché minima serenità; gli antagonisti al contrario (orchi dalle fattezze (dis)umane) sono spesso sottoposti a punizioni terribili: la strega di Biancaneve finisce per ballare un’intera notte calzando scarpe roventi, mentre le dispotiche figlie della matrigna di Cenerentola sono soggette alla dannazione della cecità per tutta la vita. La fantasia delle fiabe, sin dalla notte dei tempi, è stata oggetto di approfondimenti “al microscopio” con una serie di interpretazioni di carattere filosofico, religioso (teologia e nella fattispecie cristologia sono sempre presenti come metafore) e psicanalitico.

L’invenzione cinematografica del regista di Brazil non considera affatto i tratti biografici e le personalità dei narratori, e se si dovesse considerare I Fratelli Grimm e l’incantevole stregadal punto di vista squisitamente cronachistico la si boicoterebbe senza riserve, visto che le figure tracciate da Terry Gilliam sono quanto di più lontano e irraggiungibile si possa pensare rispetto ai due studiosi; per fortuna il cinema è un mezzo che consente di rileggere un’opera o un personaggio prendendo solo gli spunti necessari. Wilhelm incamera la stazza di Matt Damon, cialtrone e gran viveur, e Jacob sognatore con la sindrome del bambino adulto, rivive attraverso le convincenti maschere mimiche di Heath Ledger. Sarà uno specchio magico a scombinare i rispettivi ruoli dei due per fare di necessità virtù allo scopo di uscire vivi da una situazione piuttosto complicata e liberare la foresta da un terribile sortilegio. L’ex Monty Python allestisce un set da grande circo con una prima parte scoppiettante ricca di effetti da baraccone lasciando la scena agli impavidi eroi donchisciotteschi che strizzano l’occhio agli acchiappafantasmi con momenti indimenticabili di cinema passato (Bava e le produzioni artigianali dei Sessanta e Settanta) e contemporaneo, in un contesto assolutamente realistico.

Gilliam è un visionario, uno dei più grandi, capaci di plasmare viaggiatori senza tempo tra sogno e incubo (ricordiamo il magnifico e stratificato La leggenda del Re Pescatore e il pessimismo futuristico de L’esercito delle 12 scimmie); qui la parte del leone la fanno un Peter Stormare in forma smagliante (nel ruolo di Calvani, generale tragicomico) e un sadico Jonathan Pryce regnante senza scrupoli. Nel complesso il film scritto da Ehren Kruger è un omaggio ad un pubblico di bambini (forse è questo un po’ il limite) fedeli sostenitori dell’immaginazione e amati dall’autore per la capacità di guardare ciò che accade intorno a noi con uno sguardo candido. Tra il grottesco e l’avventuroso, citazioni pittoriche palesi e nascoste (il Romanticismo guarda a Caspar David Friederich) a dispetto de “L’Ofelia” preraffaelita ben celata da un tappeto di foglie e da un intrico di rami, succede di tutto anche che un cavallo inghiotta un uomo. Poco chiara, sebbene filtrata da una spettacolarità visiva di grande effetto, è la scelta di inframezzare il plot narrativo con inserti originari di casa Grimm, con le missioni naturalistiche della piccola Cappuccetto Rosso, iniziazioni spiritualistiche di Hansel e Gretel e via discorrendo. Menzione speciale per la nostra Monica Bellucci, splendente e sensuale come non mai, nei panni di una regina resa decrepita da una maledizione . Aspettando il maturo (a quanto pare) Tideland dove il buon Terry terrorizzerà i più grandi e con la speranza di non accogliere più cineasti impelagati in troppi progetti contemporaneamente apprendiamo quanto delle volte non è sempre bene infilare due piedi in una scarpa, anche e soprattutto se questa dovesse condurre ad Oz.

di Ilario Pieri