Valeria Golino esorcizza la morte col cinema. A cinque anni di distanza dal suo pluripremiato Miele che parlava di eutanasia, torna dal 25 ottobre sui nostri schermi con Euforia, una profonda, toccante, drammatica commedia dove una malattia terminale riavvicina due fratelli. Da sempre interessata al racconto delle tematiche esistenziali, anche per il suo secondo film da regista ha scelto quella che definisce “la regina del nostro pensiero” che aleggia per tutto il film su Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea, il primo che interpreta il disincantato, narcisista Matteo, rampante manager attratto dal successo e dal denaro, dedito a droga, sesso omosessuale, culto per il corpo, il secondo nei panni di Ettore, frustrato insegnante con matrimonio fallito, giovane amante, pochi soldi e illusioni sul futuro. Le loro vite si ricongiungeranno quando Matteo scoprendo che il fratello è gravemente malato, deciderà di accudirlo nascondendogli però la verità. Sarà la malattia a metterli di fronte ai limiti della vita umana, a far fare loro i conti con le rispettive ipocrisie.

Golino anche stavolta tocca l’anima dello spettatore, facendolo commuovere ma anche sorridere, calandolo nelle mille sfaccettature di una quotidianità in cui ciascuno può riconoscere qualche parte di se. La cinquantaduenne attrice e regista si è ispirata ad un’analoga situazione vissuta da un suo amico, l’ha romanzata con Francesca Marciano e Velia Santella, creando intorno alla drammaticità del tema un’atmosfera con parecchi spiragli di leggerezza che portano sovente lo spettatore a ridere, mai in modo superficiale ma liberatorio. Ben mirati anche i ruoli femminili, affidati alle sue bravissime amiche Isabella Ferrari (moglie separata di Ettore), Valentina Cervi (amica di Matteo) e Jasmine Trinca (amante di Ettore). E per accompagnare musicalmente una storia di fratelli ha scelto un brano creato da suo fratello Sandro, sassofonista.

L’euforia del titolo non rappresenta la gioia ma la sensazione bella e pericolosa che coglie i sub nelle grandi profondità facendoli sentire  totalmente liberi e felici, una sorta di schermo che copre ansie e paure. I due fratelli si incontrano e si scontrano, si riscoprono con occhi nuovi, da adulti. La malattia è un pretesto per un film sul bisogno di donare e ricevere amore, per sottolineare il confine evanescente tra egoismo e altruismo, senza dare risposte o giudizi.