Girato in ventitre giorni, con un cast di “aspiranti attori” e con un regista esordiente, Camp è un piccolo miracolo cinematografico che ha stupito il pubblico del Sundance e che arriva nel circuito italiano con due anni di ritardo. Giovanile, fresco e riflessivo con alle spalle un grande modello ispiratore in FameCamp è un gioco creativo intriso di sentito e autentico autobiografismo da parte del suo ideatore Todd Graff che da tempo cercava il modo e la forma più adatta per raccontare la sua esperienza fatta nel ’74 allo Stagedoor Manor, un campus estivo per aspiranti attori. I ragazzi di Camp sono a loro modo particolari, emarginati, in larga parte omosessuali, ma pieni di sincero e innato talento. C’è Michael (Robin De Jesus) picchiato quando tentò di andare al ballo di fine anno vestito da donna, Ellen (Joanna Chilcoat) adolescente impacciata che deve pregare il fratello di accompagnarla al ballo perché nessun altro si offrì di farlo, Vlad (Daniel Letterle) l’unico macho in un mare di personaggi freak e strambi, la bomba sexy Jill (Alana Allen), la dolce Dee (Sasha Allen) da sempre angelo custode degli sfigati e la povera Jenna (Tiffany Taylor) costretta al dimagrimento obbligatorio con un apparecchio che le tiene la bocca chiusa dai suoi genitori che così facendo non possono rendersi conto della sua straordinaria vocalità. Tra nuovi amori, cuori spezzati, delusioni artistiche e ritrovato vigore creativo, Camp svela la crescita trasversale di tutti gli abitanti del variopinto campus dove ogni due settimane si allestisce un nuovo spettacolo e dove ognuno può avere il suo momento di gloria.

L’altro miracolo di Graff è stato il diretto coinvolgimento del mito di Broadway Stephen Sondheim il quale, dopo aver letto lo script originale comprensivo di molti suoi brani, ha dato il suo assenso in cambio soltanto di un piccolo cameo. Per il resto Graff ha ottenuto i diritti per far cantare al protagonista Vlad Wild Horses senza pagare un dollaro di royalties ai Rolling Stones, come anche Ellen che si esibisce sulle note di And I Am Telling You I’m Not Going dal Dreamgirls di Henry Krieger o come la messa in scena del brano Turkey Lurkey Time da Promises, Promises di Burt Bacharach e Hal David. La spontaneità di Camp è la sua forza, sia per la divertita e partecipata regia di Graff, sia per le grandi performance dei suoi protagonisti. Ciò che non rende merito a questo film è il suo congelamento per due anni prima dell’arrivo in Italia e – cosa sempre più frequente – la traduzione forzata del suo titolo, ma per le nuove generazioni sempre più attratte dal fascino del mondo dello spettacolo, Camp è una vetrina di gioie e dolori, un test selettivo di realtà, o semplicemente un luogo dove i ragazzi imparano dagli adulti e viceversa. E se il film vi annoierà, sarete comunque consolati dalla splendida colonna sonora.

di Alessio Sperati