Il peso del giudizio degli altri, la calciomania esasperata, le grottesche avances sessuali sul lavoro, il declino di un ex fuoriclasse del pallone caduto in disgrazia, il restare isolati nel proprio mondo per non crescere. E’ tutto ben messo a fuoco in Zamora, il primo film da regista di Neri Marcorè, nelle sale dal 4 aprile. Una tenera, nostalgica commedia agrodolce che mette a fuoco le varie debolezze dei maschi degli anni ‘60 seguendone l’evoluzione. Ottima la sua scelta del cast con cui recitare e da dirigere, con Alberto Paradossi nel ruolo del protagonista affiancato, tra gli altri, da Anna Ferraioli Ravel, Marta Gastini, Antonio Catania, Giovanni Esposito, Giovanni Storti e Giacomo Poretti, Pia Engleberth, con gustosi camei di Ale e Franz.

L’attore marchigiano essendo nato nel 1966 non poteva avere ricordi così precisi di quegli anni. Si è dunque liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Roberto Perrone, che ci riporta a un’Italia vivace, allegra, ambiziosa, sulle ali di uno sviluppo economico grazie al quale il benessere, la felicità sembravano essere alla portata di tutti. “Ma era un’Italia altrettanto semplice, pervasa da un sentimento di innocenza e di entusiasmo, come succede quando ancora non si percepiscono le turbolenze dell’adolescenza e si respira a pieni polmoni l’incoscienza di un’infanzia che ci illudiamo possa essere eterna – spiega Marcorè -. I personaggi maschili di Zamora hanno tutti qualche limite: la riservatezza del protagonista è in fondo presunzione di superiorità mista al timore di esporsi allo sguardo altrui; piuttosto che aprirsi e affrontare le situazioni con maturità preferisce rifugiarsi nel risentimento e in un asfittico desiderio di vendetta. Suo padre è un piccolo borghese che si preoccupa più del giudizio dei vicini che di conoscere davvero suo figlio; il suo datore di lavoro considera il calcio una sorta di religione e obbliga dispoticamente i suoi dipendenti a praticarlo con regolarità; il suo antagonista è un donnaiolo impenitente che lo bullizza; suo alleato è un ex portiere di calcio alcolizzato caduto in disgrazia. Tutti, o quasi, saranno chiamati a compiere un’evoluzione che possa renderli meno ridicoli e grotteschi al termine dell’arco narrativo”.

Le figure femminili, di contro, sono tutte moderne e decisamente superiori e rappresentano pienamente lo spirito della rivoluzione culturale sessantottina. La musica dell’epoca, insieme alle atmosfere composte ad hoc da Pacifico, accompagnano i vari momenti della storia e i particolari umori dei protagonisti. “Il film racconta del potere che ha l’amicizia nell’aiutarsi reciprocamente e risollevarsi – continua Marcorè -, racconta di un Paese e di un periodo che possono essere riassaporati per un attimo col sorriso e il proditorio soffio di una carezzevole nostalgia, mentre seguiamo un giovane uomo nel suo personale percorso di formazione. Imparerà che è meglio affidarsi alla vita e all’amore senza troppi calcoli piuttosto che covare il rimpianto di non aver vissuto o amato affatto”.