Lewis Carroll letto da Tim Burton

È meglio un coniglio o un marito? È più eccitante inseguire il Bianconiglio nel Sottomondo o sposare il pretendente di turno, naturalmente viscidissimo e oppresso da una madre invadente? È meglio il merletto pulito dei suoi abiti eleganti e la prospettiva, a un passo, di una vita allo stesso modo elegante e compita o il fango e la pelle graffiata e i vestiti che si lacerano tra un’avventura e l’altra in un mondo che è sogno ma non solo? Alice, la bambina partorita tra le pagine di Lewis Carroll, al secolo Charles Lutwidge Dodgson, era troppo piccola per sbattere davanti a questa scelta. Lei sognava e basta. Carroll sognava con lei e il lettore in quei sogni traduceva fantasie (a seconda dell’età) confessabili o inconfessabili. L’Alice che da oggi vedremo nel film di Tim Burton (“Alice in Wonderland”), invece, quella domanda se la fa e si dà, alla velocità della luce, una risposta. Lei non ha dubbi: meglio inseguire il Bianconiglio che prendere in mano l’anello di fidanzamento.

Detto fatto, Alice corre. E lo spettatore con lei e con un Burton che furoreggia, potendo qui, più che mai, mettere al fuoco quintalate di carne delle sue fantasie e potendo dare al tutto il colore che predilige. Che, naturalmente, è ben più scuro non solo del pastellato della vecchia Alice Disney ma anche del giocosamente enigmatico che stava nelle pagine di Carroll. Dunque questa è l’Alice come non l’abbiamo mai vista. Alice dopo Alice. Alice cresciuta che dà corpo ai sogni di un’adolescenza inseguita, accarezzata, imperdibile come  Burton stesso l’ha sempre vissuta. Alice quando ha già 19 anni e fa un viaggio che la riporta indietro, anche se lei non lo ricorda, un viaggio già fatto nel sottomondo, quel viaggio, appunto, che ci hanno già raccontato e che Burton usa come un prologo. Alice metà carne e ossa e metà futuristica  animazione in 3D. Alice secondo il genio di Burton che potenzia al cubo la meraviglia che appartiene alla favola e carica di senso e di metaforica responsabilità i personaggi, che già godevano di un loro non esile peso specifico.

Alice cresciuta per cui il viaggio nel paese delle meraviglie è un ricordo prima ancora che un sogno, ma questo si scopre pian piano. Una Alice in parte live con attori come Helena Bonham Carter, straordinaria  Regina di Cuori deforme, Anne Hathaway fascinosa Regina Bianca, Mia Wasikowska Alice e Johnny Depp nei panni del Cappellaio Matto, in parte in animazione digitale con personaggi tutti nati dal computer, dallo Stregatto al Brucaliffo allo stesso Bianconiglio. Una versione unica perché Burton sa trasportare Alice (e noi con lei) dal mondo al Sottomondo ma per poi rimandarla nel mondo cresciuta e pronta a tutto. A tutto ciò che ha sempre voluto senza saperlo: a rifiutare le nozze, a scegliere la carriera, a prendere le redini dell’azienda del papà e a salpare verso nuovi mercati, lei per prima su un veliero che di nome fa proprio Wonderland. Salpare verso  nuove meraviglie con una farfalla blu che le si posa sulla spalla e in cui lei riconosce il Brucaliffo.

Il tutto partendo da un’idea precisa: “Con tutte le versioni che esistono già, io ne cerco una che mi tocchi davvero – aveva detto Burton prima di imbarcarsi nell’avventura -. Sino ad oggi non ne ho trovato nessuna che avesse un vero e forte impatto su di me, anche se trovo magnifica la fiaba. Così ho pensato di provare a realizzare un film coinvolgente in modo diverso dagli altri, un film in cui Alice compaia come un personaggio nuovo, fresco e dalla più stratificata psicologia. D’altra parte parliamo comunque di una bambina, che io penso ormai giovinetta che vaga qua e là incontrando personaggi davvero strani, un’osservatrice in mezzo a mondi incredibili da raccontare e, dunque, credo che il materiale per fare qualcosa di davvero coinvolgente non manca”. A volerlo. E Burton, geniale adulto che non vuol cedere all’abbandono dell’infanzia e, infatti, non cede, sa come fare. E lo fa.