Un film sulle dinamiche del potere, una storia di libertà calpestata e del diritto legittimo alla giustizia. Andrey Zvyagintsev l’ha intitolato Leviathan (nelle sale dal 6 maggio), come il trattato del seicentesco filosofo inglese Thomas Hobbes. Ma il cinquantenne regista (nato a Novosibirsk, la terza città più popolosa della Russia), oltre a mettere in luce i ben noti soprusi dei potenti verso i più deboli, ha confezionato un’ eccellente, intensa pellicola che scava a fondo nei sentimenti umani, sottolineando alla perfezione ansie, rabbie, angosce dei protagonisti, magnificamente interpretati da Alexey Serebryakov, Elena Lyadova, Vladimir Vdovitchenkov, Roman Madyanov, Anna Ukolova, Alexey Rozin, Sergey Pokhodaev.

Kolia vive in un villaggio vicino al Mare di Barents, nel nord della Russia. Ha un’
officina dove ripara macchine accanto alla casa, dove vive con la sua giovane moglie Lilya e suo figlio Roman, nato da un precedente matrimonio. Il sindaco del villaggio vuole portargli via officina, casa e terra, ma Kolia non vuole perdere tutto ciò che ha dal giorno della sua nascita. Così il sindaco Shelevyat inizia ad essere più aggressivo…

Come è nata l’idea del film?
Tutto è nato dall’osservazione del tessuto sociale, per un lungo periodo. Quando mi hanno raccontato la storia di Marvin John Heemeyer, qualcosa si è mosso nella mia anima e ho sentito il bisogno irrefrenabile di raccontare questa vicenda, in maniera chiara, diretta, riportarla con tutti i dettagli in maniera onesta e obiettiva.

Chi è Kolia?
Uno che ha fallito anche in altri ambiti della vita. Il suo conflitto interiore lo fa fallire anche nell’amicizia togliendogli i punti fermi della vita, le fondamenta alle quali è ancorato il suo mondo.

Come ha scelto il titolo?
Ho pensato al libro di Giobbe in cui Dio appare, si manifesta e racconta di Leviathan e della sua forza e invincibilità. Ho utilizzato il parallelismo tra la storia di Giobbe e la vicenda di Marvin John Heemeyer, come un prototipo per il personaggio di Kolia. Sinceramente non sapevo che fosse anche il titolo del trattato del filosofo inglese sulla forza dell’alleanza tra il potere spirituale della Chiesa e quello dello Stato, temporale e questo arricchisce il film di un ulteriore contenuto.

Cosa accomuna il film col pensiero di Hobbes?
Thomas Hobbes vede lo Stato come il patto dell’uomo con il diavolo, come un mostro creato dall’uomo per evitare la guerra di “tutti contro tutti” e per il suo comprensibile bisogno di ottenere sicurezza in cambio della propria libertà. Proprio come tutti siamo macchiati dalla nascita dal peccato originale, siamo nati tutti in uno Stato. Il potere spirituale dello Stato sull’uomo non conosce limiti.

Un tema purtroppo sempre di attualità
L’alleanza tra l’uomo e lo stato è sempre stato un tema molto discusso in Russia. Ma in qualsiasi società, dalla più arcaica alla più sviluppata, tutti dovremmo confrontarci un giorno con questa alternativa: vivere come uno schiavo o vivere come un uomo libero. Nella vita di ogni uomo esiste un momento in cui ci si trova ad affrontare il sistema, e a decidere di lottare per il proprio senso di giustizia, per il proprio significato di Dio sulla terra.

Come ha descritto i personaggi?
Ognuno con le proprie paure, le proprie sventure le proprie speranze, che coesistono. Il sindaco è la materializzazione del potere, del mostro, della mancanza di giustizia, che terrorizza e travolge tutti. Ed è impossibile fermare questo mostro, è come il Fato in una tragedia greca. È qualcosa da cui dipende il nostro destino di uomini, il destino di ognuno.

Si può resistere alla mancanza di giustizia?
Non penso che esista un individuo in Russia che, rivolgendosi ad un tribunale, sia certo di avere giustizia. Kolia non è un ingenuo, presto si rende conto che pensare che le cose si possano risolvere, è solo un’illusione.

Dove ha ambientato il film?
Volevo provare la sensazione di essere ai confini del mondo. Per questo ho ambientato Leviathan sul mare di Barents, nell’Oceano Artico.