Ne ha fatta di strada il George McFly di Ritorno al futuro, ma non ha smesso di prenderle dai suoi superiori. Conservando pettinatura da folle e pallore da recluso sfoggiati nei due Charlie’s Angels, Crispin Glover si presenta nei panni del “problematico” Willard in un remake dell’omonimo film del ’71. Allora Willard Stiles era Bruce Davison che qui viene omaggiato con un ritratto su tela nel salone di casa e con l’azienda da lui fondata che, sebbene dia un lavoro e uno stipendio al figlio, lo rende bersaglio di continue umiliazioni da parte del capoufficio R. Lee Ermey – il sadico sergente di Full Metal Jacket, che anche in questo caso non si risparmia di farsi uscire gli occhi fuori dalle orbite – e da parte della collega Cathryn, la bomba sexy di Mulholland Drive. Il solitario Willard, che vive con la madre in una situazione e in una casa alla Psyco, sempre più alienato, inizia ad affezionarsi ai topi che infestano la sua cantina, cominciando a nutrirli, persino a pettinarli.

Glover, perfettamente calato nella parte, costruisce un personaggio ben articolato, sfaccettato, in un film che non ha tuttavia alcun profilo horror (attenti a non cadere nella trappola), che non spaventa neanche un po’; al limite può creare fastidio in qualcuno la presenza di molte scene con topi, per altro moltiplicati digitalmente. In effetti Willard il paranoico parrebbe più una commedia dark, con un protagonista sprecato nella sua parte: sarebbe perfetto come villain in un film di Batman. Anche le scenografie della sua casa alla Norman Bates, in verità piuttosto fumettistiche, inducono alla dark comedy, come anche la burtoniana scena di introduzione in stop-motion. Si può prendere un personaggio e cucirgli un film attorno? Ha qualche senso? Forse sì. Se Tim Burton vedesse Glover manderebbe in pensione Johnny Depp…

di Alessio Sperati