Sembra di ripetere il solito leit motiv quando si parla di un film di Shinya Tsukamoto: la contrapposizione della Natura, concretizzata dal corpo umano, con il Progresso, ben rappresentato dalle città e dall’asfalto. Lo studio del corpo e di tutte le sue implicazioni caratterizza il cinema di questo grande artista, ancora troppo giovane per essere chiamato maestro, sin dai tempi del mitico Tetsuo. Ma questa volta Tsukamoto ha superato se stesso. Qui il corpo è esibito e mostrato dal di dentro, studiato in ogni sua minima parte, ispezionato con passione e ardore, con un impulso curioso e un tocco delicato, senza tabù, senza remore, senza rimpianti di sorta. È troppo per Hiroshi pensare a una ragazza che non ricorda più, che è morta in un incidente dal quale lui è sopravvissuto. È troppo per il padre di Rioko che Hiroshi non la ricordi perché lei era la sua ragazza. E quel corpo esile, percorso da frenetici impulsi sessuali e giochi erotico-mortali, da echi suicidi e movimenti lirici va a finire proprio sul tavolo di dissezione di Hiroshi, che studia medicina legale. A poco a poco, entrandole letteralmente dentro, Hiroshi ricorda Rioko e allontana da sé Ikumi, la bella collega di studi che lo desidera ed è disposta a tutto per averlo. Hiroshi è incantato dal corpo di Rioko, la seziona con fare adorante e rispettoso, senza cuffia sui capelli né benda sulla bocca, quasi per sentirne meglio l’odore, per avvertirne maggiormente quel soffio di vita che non c’è più.

Lo studio, la riflessione, il lavoro sul corpo si spinge fino all’estremo, grazie anche a sequenze parallele e oniriche in cui Hiroshi ricorda Rioko come una danzatrice sulla spiaggia, in movimenti fluidi fatti di scatti, estensioni e contrasti, nella migliore tradizione di Pina Bausch, nell’assoluta leggerezza delle danzatrici libere. C’è un non so che di erotico nelle operazioni compiute da Hiroshi: fa pensare alla necrofilia la scena in cui si sfila i guanti e accarezza Rioko dal di dentro, come nessun altro uomo la ha mai potuta toccare, lisciandole le fibre muscolari e le terminazioni nervose, amandola, assaporando al tatto tutto di lei, conoscendola intimamente e, è il caso di dirlo, a fondo. Asano Tadanobu, ormai anche lui attore di culto, è semplicemente stupendo in questa interpretazione. Concentrato e profondo, malinconico e curioso, Asano si trasforma ogni volta nel personaggio a cui presta il suo bel volto. Il messaggio è chiaro: il progresso, la città ci aliena da noi stessi, ci priva anche delle sensazioni e dei sentimenti più basilari. Il film è ambientato ancora una volta durante la stagione delle piogge, come quell’altra perla intitolata A Snake of June. La pioggia batte sull’asfalto e ci rivela tutta la sua freddezza. È solo con il corpo e attraverso il corpo che possiamo ricordarci da dove veniamo, che rimaniamo in contatto con la Natura che ci ha generati. È attraverso il corpo che possiamo recuperare le nostre emozioni, il nostro dolore, la nostalgia, la speranza, il sogno e il ricordo.

di Federica Aliano