Tre registi orientali (il giapponese Miike Takashi, il coreano Park Chan-wook e l’hongkonghese Fruit Chan) per altrettanti racconti dell’orrore (Box, Cut, Dumplings), il tutto in una cornice raffinata e molto estetizzante. Come ogni film a episodi, Three… Extremes soffre di un certo squilibrio narrativo, ma rimane comunque un prodotto interessante e originale, uno sguardo d’autore sull’universo orrorifico orientale. Dei tre episodi il migliore è quello di Fruit Chan che racconta di una star del cinema che per ringiovanire si riduce a una dieta di ravioli ripieni di feti morti. Il regista in pochi minuti riesce a creare un’atmosfera malata e opprimente, in cui sopra immagini forti e stomachevoli applica un particolare uso del sonoro volto a disgustare lo spettatore. Quella dei feti morti utilizzati per cucinare i ravioli si appresta indubbiamente a diventare l’immagine visivamente più sconvolgente di questo Festival di Venezia. Ma non sono da meno Park Chan-wook e Miike Takashi: il primo racconta, con una grande ironia e un gusto macabro per gli effetti splatter, la storia di un regista costretto da una comparsa ad assistere alla morte di un bambino e alla mutilazione della moglie, il tutto condito da un trionfo di colori e da idee stravaganti; più classico, ma non meno disturbante, l’episodio di Takashi su una donna che si ritiene responsabile della morte della sorella e per questo è tormentata da uno strano individuo. Visivamente più fredda rispetto agli altri due frammenti, questa storia di rimorso e vendetta è in realtà quella più completa e approfondita da un punto di vista narrativo e dimostra la grande professionalità del maestro dell’horror giapponese. Un film curioso ma per stomaci forti e appassionati di un certo cinema di genere, splatter e malato.

di Simone Carletti