Non si riesce a comprendere come mai solo nella programmazione festivaliera trovino spazio certi film. Puntualmente poi, sono in concorso. Conosciamo tutti benissimo la passione di Marco Muller per il cinema orientale e sappiamo che il regista del film era già stato a Venezia con l’interminabile Platform. Ma questo è uno di quei film con cui è doveroso essere spietati. Va bene l’intimismo, va bene che esiste anche il cinema antinarrativo, ma trascorrere due ore e un quarto della propria esistenza a fissare uno schermo sul quale non passa niente, è un po’ eccessivo. Più che un film di finzione sembra un omaggio a un luogo turistico che si trova a Pechino, da cui il nome del film: Shijie, il mondo. Trattasi di uno di quei posti che riproducono i monumenti su scala ridotta. Qui c’è un piccolo ponte di Londra e si possono trovare anche un Big Ben e una Torre Eiffel ridotti di due terzi.

Un po’ come se noi girassimo un film a ‘L’Italia in miniatura’, vicino Rimini… Ecco, il protagonista del film è più che altro questo strano luogo, con i suoi spettacoli sfavillanti e il suo retropalco squallido, scrostato, senza acqua calda. I personaggi di contorno sono i lavoratori che soggiornano negli alloggi del personale, in condizioni orribili, miserabili. Persone che crescono e invecchiano dentro perché non sanno amarsi, non sanno andarsene, non hanno nulla in cui credere, non ottengono passaporti. Qualche ragazza si svende e fa carriera, una se ne va e si prostituisce. Il gusto per il degrado ha quasi del feticistico. Un vero peccato, perché l’idea di base non era male: una ragazza piena di vita, brava ballerina che voleva fare il giro del mondo. Non ha il passaporto e finisce qui, dove il giro del mondo si fa in quindici minuti. Come sprecare un buon soggetto. E quando qualcuno manda un messaggio con il cellulare partono delle animazioni psichedeliche molto kitsh che sinceramente ci potevano anche risparmiare.

di Federica Aliano