Francesco Laudadio ama le belle donne, non per niente fu proprio lui a lanciare Monica Bellucci sul grande schermo con La riffa, cosa per cui probabilmente non dovremmo essergli a posteriori particolarmente grati, ma d’altra parte l’arte divinatoria non è cosa di tutti. Le analogie tra quel film e Signora, sua ultima fatica che vede protagonista la giunonica Sonia Aquino, bellezza che più mediterranea non si può, sono molte, soprattutto se consideriamo la vena grottesca che da sempre pervade il cinema di Laudadio. Pochi ricordano ad esempio Grog, opera lontana nel tempo in qualche modo ispirata all’esordio di John Landis Schlock, che metteva alla berlina il sistema dei mass media italiano con una ventina d’anni d’anticipo sulla recrudescenza dei reality show. Lo stesso La riffa era uno sguardo cattivo sulle malefatte e le piccolezze borghesi della ricca provincia italiana del Nord Est, dove una donna rimasta vedova metteva in palio il suo corpo per poter coprire i debiti lasciati dal marito. Anche in Signorala protagonista, un’americana con origini italiane ed ebrea, sposata con uno dei responsabili della bonifica delle paludi pontine e innamoratasi di un aitante ingegnere delle acque (Urbano Barberini), è pronta a sfidare il regime pur di coronare il suo sogno d’amore. 

Signora è una storia d’amore, assoluta e folle, come sono in fondo tutte le belle storie d’amore. L’essere ambientata, però, in un periodo tanto tragico per la storia d’Italia, finisce con l’essere un’arma a doppio taglio per quelle che erano le pur buone intenzioni del regista, desideroso di mettere tutto su un piano anche in questo caso ironico e grottesco, felice di far scattare la risata e di strappare il sorriso grazie a situazioni che in ben più di un caso sfiorano l’assurdo. Purtroppo, pur riuscendo in alcuni casi a raggiungere questo non facile scopo, l’impressione fortissima che si ha è quella di un film squilibrato in fase di sceneggiatura che una volta portato sullo schermo non sia riuscito a mantenere le probabili buone premesse iniziali. L’umorismo di Signora è nella maggior parte dei casi dettato dalla banalità dei dialoghi e delle situazioni e a malincuore bisogna ammettere che le follie d’amore della bella Signora finiscono con l’irritare non poco, soprattutto per il finale che rischia di avvalorare la berlusconiana tesi del confino come villeggiatura per gli intellettuali di sinistra durante il regime fascista. Va bene raccontare la storia di una passione più grande della follia della Storia, ma ricordiamoci che quella follia è Storia. Sul cast poco da dire, Sonia Aquino deve essere più corpo che altro e le riesce molto bene, lo stesso dicasi per Urbano Barberini, tutto il resto francamente è noia.

di Alessandro De Simone