In questi tempi di depressione collettiva il regista François Ozon ricorre al suo umorismo satirico per riportare la gente al cinema dove, dal 25 aprile, arriva Mon crime, la colpevole sono io una divertente, intelligente commedia dai dialoghi scoppiettanti e situazioni strampalate in cui i protagonisti inventano astuzie per togliersi dai guai. Ha dunque preso una pièce teatrale di successo del 1934 per raccontare quella storia con tono di farsa tenera e ironica, giocando sull’assurdo, ispirandosi ai grandi del cinema americano come Billy Wilder.
Un film profondamente femminista, che esalta il valore della sorellanza, costato 12 milioni di euro, forse anche perché il cinquantacinquenne regista parigino non ha risparmiato nella scelta del cast, ingaggiando alcuni mostri sacri del cinema francese come Isabelle Huppert, Fabrice Luchini, Dany Boon e André Dussollier, che si sono volentieri prestati a fare da “spalla” alle giovanissime Nadia Tereszkiewicz, Rebecca Marder, le perfette protagoniste della gustosa commedia. Ambientata negli anni ‘30, a Parigi, dove Madeleine Verdier, avvenente giovane attrice squattrinata e senza talento, viene accusata dell’omicidio di un famoso produttore. Con l’aiuto della sua migliore amica Pauline, giovane avvocatessa disoccupata, viene assolta per legittima difesa. Inizia così una nuova vita, fatta di gloria e di successo, fino a quando, con un esilarante colpo di scena, la verità non viene a galla.

“Ho sentito l’esigenza di ricorrere all’estro e alla leggerezza per meglio sopportare la dura realtà del presente – racconta Ozon, presentando il film a Roma con le due giovani e brave protagoniste -. E da questo è scaturito il mio desiderio di ritrovare lo spirito della screwball comedy, il genere ideale per raccontare questa storia. Pur mantenendo il contesto storico e politico degli anni ‘30, ho voluto adattare liberamente la trama in modo che al suo interno risuonassero le nostre preoccupazioni contemporanee in merito al potere e al controllo nei rapporti uomo/donna”. Questo, spiega, può essere considerato il capitolo finale di una trilogia che comprende Otto donne e un mistero e Potiche, tre film che esplorano la condizione femminile con humor e glamour. La ricostruzione stilizzata degli anni ‘30 riesce a fare emergere tutta la sua intrinseca modernità, con un ritmo più che mai attuale, vivace e gioioso.“I dialoghi cesellati e pieni di arguzia della pièce originale mi hanno riportato alla mente le commedie mordaci di Sacha Guitry – confida -, e questo film mi ha offerto l’occasione di lavorare con giovani attrici esordienti molto promettenti nei panni delle protagoniste e di circondarle di una girandola di attrici e attori affermati e consolidati in gustosi ruoli di contorno”. 

“Ho trovato fantastica l’idea di interpretare un’attrice che recita tutto il tempo – racconta Nadia Tereszkiewicz,parlando in un ottimo italiano . Come esprimere la propria sincerità quando si sta recitando e dunque mentendo? È il quesito che tutti gli attori si pongono. La mia risposta è stata di schierarmi in ogni istante al fianco di Madeleine, sincera in tutte le situazioni. È spontanea, istintiva, non pianifica niente. Avanza come può: con tendenze suicide e un istante dopo leggera e desiderosa di andare al cinema. La scopriamo innamorata, maliziosa, a volte manipolatrice. Ma sempre per una buona causa. Ha una forma di purezza”.
Per Rebecca Marder il teatro è la vita: è entrata alla Comédie Française a 20 anni, vi ha trascorso sette anni e in questo film è il protagonista. “Mi sono ritrovata in un universo familiare che ha assunto una dimensione nuova grazie al cinema. Come in teatro, abbiamo provato a lungo, in alcuni casi anche sul set. I costumi hanno assunto la forma dei nostri corpi. Ogni dettaglio è stato studiato e preparato in anticipo in modo tale che una volta sul set, con la fiducia e la sicurezza che avevamo acquisito, ci siamo lasciati trasportare dalla potenza della recitazione”.

Le due giovani diventano portavoce moderne in una società patriarcale nella quale le donne non hanno il diritto di votare. Madeleine e Pauline cercano di sfuggire a questa condizione. Per loro, ogni mezzo è lecito a condizione che permetta di fare acquisire maggiore autonomia alle donne. Combattono come possono con le armi che hanno a disposizione, istintivamente, manipolando, ma senza cinismo o cattiveria. Potrebbero sembrare antipatiche. Eppure, stiamo sempre dalla loro parte. Perché difendono una causa, la loro causa, quella delle donne.