Kabul, settembre 1996, i Talebani prendono il potere. Un gruppo di donne, coperte da burka azzurri, protestano contro la legge che proibisce loro di lavorare e di uscire di casa senza un uomo. Scatta immediatamente la repressione violenta della manifestazione da parte degli oppressori. La dodicenne Maria e sua madre, coinvolte casualmente, riescono a scampare all’ arresto e a trovare rifugio nella loro casa dove vivono con la nonna. Il padre e lo zio sono morti durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan e così per le tre donne l’unica via per sopravvivere e cercare lavoro è fingere che Maria sia un maschio. Il suo nuovo nome sarà Osama. Ma presto qualcuno si insospettirà… 
E’ la trama di Osama, ultima fatica del regista afgano Siddik Baraq, vincitore del Golden Globe per il miglior film straniero e candidato all’Oscar come migliore pellicola straniera per l’Afghanistan. Prodotto dalla BarmaK Film, coprodotto da NHK (Giappone) e LEBROCQUY FRASER LTD (Irlanda)e distribuito in Italia dalla LUCKY RED, Osama è interpretato solo da attori dilettanti. La maggior parte proviene dai campi profughi ma la protagonista, la piccola Marina Golbahari, proviene dalla strada. È attraverso i suoi occhi, anzi quelli del personaggio che interpreta, che la paura e l’oppressione delle donne sono raccontate: occhi spaventati mentre Maria corre per tornare a casa dopo il lavoro guardandosi continuamente alle spalle; occhi pieni di lacrime mentre pianta in un vaso una ciocca dei capelli che è stata costretta a tagliare, con l’intenzione di annaffiarla ogni giorno; occhi tristi mentre osserva i coetanei maschi giocare liberamente attraverso la sagoma di una bambina disegnata su un vetro appannato; occhi terrorizzati mentre si arrampica su un albero per mostrare ai bambini della scuola militare di essere maschio. Questo punto di vista regala al film intensi accenti poetici, rendendolo nello stesso tempo ancora più drammatico e coinvolgente.
Osama è il primo lungometraggio di Siddiq Barmak che dichiara di essersi sentito influenzato nello stile dai registi iraniani Makmalbaf e Kiarostami. In passato ha diretto alcuni cortometraggi, realizzato documentari e scritto sceneggiature per il cinema, ma tutti i suoi lavori precedenti sono stati sequestrati dai Talebani. Ha diretto le riprese in quarantatrè giorni alla fine del 2002 avendo a disposizione una sola cinepresa Arriflex e, a causa della fuga all’estero di molti talenti del cinema afgano prima della caduta dei Talebani, con pochi collaboratori. Tra questi Ebrahim Ghafuri, già operatore nel film Viaggio a Kandhar di Mohsen Makhmalbaf e Alle cinque della sera di Samira Makhmalbaf, qui direttore di una intensissima fotografia.

di Patrizia Notarnicola