La Rue Bleue non è poi così blu. Monsieur Ibrahim, il bottegaio arabo, non è arabo. E la vita, forse, non è necessariamente triste. Lungo i marciapiedi di una cartolina parigina Momo recita gli anni sessanta danzando la sua adolescenza al ritmo dello “ye-ye”, imparando che “sorridere rende felici” e che “il paradiso è aperto a tutti. Perché la filosofia e la vita si annidano ovunque. Tra gli scaffali di una buia e polverosa drogheria e nella profonda serenità dello sguardo di colui che da sempre conosce “cosa c’è scritto nel suo Corano”. Con un tocco superficialmente leggero Dupeyron narra una storia semplice quanto basta per sembrare scontata ma che celebra, nella sua intima struttura, il piacere stesso della vita e la ricchezza trovata negli incontri nati dalle differenze. Ed Ibrahim e Momo lo sono. Anziano e giovane. Musulmano ed ebreo. Ad unirli una solitudine che non impedisce loro di comprendere che “ciò che dai, è tuo per sempre, ciò che tieni è perduto per sempre”. Vite che si srotolano lentamente nel dolce e tenue racconto di una favola. Tra le vie caotiche di una città divenuta set cinematografico. Sedotta dal fascino biondo e sensuale di una Brigitte Bardot, che, inconsapevole, ammira la sua stessa immagine riflessa sui volti delle prostitute ferme ad osservarla. La finzione ricostruita all’interno di una ipotetica realtà che altro non è che teatro. Scenografia. Riproduzione di se stessa e degli anni trascorsi, narrati attraverso una luce ed una traccia musicale per condurci nelle intricate trame delle differenze culturali e scoprire poi che non sono così contorte. Basterebbe partire su di un tappeto volante con il desiderio di conoscere ed annusare quello che gli aromi trasportati dall’aria sono disposti a raccontarci. Perdersi nell’oblio delle roteanti danze dei Dervisci per arrivare là dove ci aspetta Dio. E camminare con l’elegante, rassicurante lentezza di colui che conosce perfettamente la strada da percorrere, intuendo che la vita è sicuramente più semplice di quanto si possa pensare. Tutto dipende da come siamo in grado di narrarla. Da quanto siamo disposti a condividerla con ingenua ed entusiasmente appartenenza. Ed in ballo entra anche il sofismo e la visione esoterica dell’Islam per raccontare come l’essenza delle cose sia diversa da quel che appare ad uno sguardo superficiale. Filosofia spicciola se vogliamo. Dal romanticismo e dalla saggezza quasi scontata, ma che, sostenuta dalla calda ed avvolgente profondità degli intensi occhi egiziani di Omar Sharif, acquista il fascino e la sicurezza di una verità assoluta ed incontestabile. Ed è con la forza e la virtù delle favole che il film continua a trascinarci dove vuole. Là dove la realtà si inasprisce per dirci che dietro le nuvole c’è sempre il sole e che viviamo tutti sotto lo stesso cielo. Retorico, perfino stucchevole, ma ignorarlo ora sarebbe mortale.

di Tiziana Morganti