Il toccante “The Lady” inaugura la sesta edizione della prestigiosa rassegna

Un atto d’amore, verso una donna che ha sacrificato tutto per la lotta alla libertà del suo paese, la Birmania. Così il regista Luc Besson e gli attori definiscono The Lady, il film che ha aperto la sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, che andrà avanti fino al 4 novembre all’Auditorium Parco della Musica. La pellicola, presentata fuori concorso, racconta la straordinaria avventura umana e politica di Aung San Suu Kyi, la pacifista birmana impegnata da decenni contro la dittatura nel suo paese e per la difesa dei diritti umani.

È stata agli arresti domiciliari quasi ininterrottamente dal 1989 al 2007, separata a forza dal marito e dai figli residenti in Inghilterra, e a lei è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace nel 1991. «Spero che attraverso questo film la voce di Aung San Suu Kyi possa fare il giro del mondo ed essere meglio conosciuta e condivisa dal grande pubblico» ha detto Besson, a Roma per presentare il film con i due attori protagonisti David Thewlis, nel ruolo del marito di Suu Kyi, e Michelle Yeoh, che per averla interpretata è stata bandita dalla Birmania.

Più che l’aspetto politico Besson ha voluto mettere in luce la dimensione umana di questa donna che ha sacrificato i suoi affetti più cari alla lotta per liberare il suo paese. Malgrado non sia riuscito mai a incontrarla, (all’inizio delle riprese era ancora prigioniera nella sua casa birmana), per rispettare al massimo la realtà il regista ha girato molte scene nella vera casa dove lei viveva con marito e figli a Oxford. «La cosa più difficile è stata raccontare la permanente incertezza in cui viveva, senza andare sopra le righe».

Ne è uscito un magnifico e toccante ritratto umano, vedendo il quale non si può non partecipare con viva emozione al profondo e doloroso tormento che l’ha accompagnata in questi decenni di lotta, all’insegna della non violenza. «Quando Michelle Yeoh mi ha portato la sceneggiatura, l’ho letta e ho pianto – racconta il regista -. La storia di questa piccola donna che senza armi tiene testa a migliaia di militari è un simbolo di libertà che mi affascina e mi commuove sempre. Va bene parlare di lei così forte per far mollare il freno a chi ancora governa laggiù. La via della democrazia è segnata dal sangue, basta vedere la primavera araba. Lei per trent’anni l’ha portata avanti con la non violenza, una strada più lunga. Ma speriamo che alla fine ce la faccia a governare il suo paese, diventato finalmente democratico».

Per l’attrice Michelle Yeoh è stata dura calarsi nei suoi panni. «È una donna rispettata e amata da tutti gli oppressi del mondo – dice -, dovevo interpretare il suo pensiero, i suoi principi, parlare e muovermi come lei, senza poterla conoscere. Ho perso cinque chili, studiato a fondo filmati, documenti, il birmano, cercando di mettere insieme i pezzi del mosaico. Spero che tutto ciò che ho imparato di lei mi resti dentro. Di sicuro interpretarla mi ha migliorata. Speriamo di riuscire a far riflettere i giovani e a far avanzare la causa per la sua libertà».