Bisogna ricordarsi chi si è stati, guardare alle nostre tradizioni per disegnare il futuro. Il regista Gianfranco Cabeddu lo ha fatto regalandoci il film La Stoffa dei sogni. Un’ ottima commedia, fantasiosa,  picaresca, ricca di colpi di scena, che fonde Shakesperare e Eduardo De Filippo rendendo omaggio al teatro. Dopo un iter lungo e travagliato, dal 1 dicembre la pellicola trova finalmente posto nelle sale grazie alla tenacia di Microcinema di Cesare Fragnelli che la distribuirà su una trentina di schermi nelle grandi città, sostenendo: “Perché non sognare quando si trova la poesia?”. Ottima l’interpretazione dell’ eccellente cast, con Sergio Rubini e Ennio Fantastichini affincati da Teresa Saponangelo, Renato Carpentieri, Alba Gaia Bellugi, Francesco di Leva, Ciro Petrone, e l’apparizione finale di Luca De Filippo, scomparso lo scorso anno.

Girato tra mille peripezie nella splendida ma spartana isola sarda dell’Asinara, il film rielabora La tempesta, già rappresentata da Eduardo in napoletano antico, intrecciando i destini di un gruppetto di camorristi inviati sull’isola-carcere per scontare una lunga pena e una sgangherata compagnia di attori in trasferta. La nave su cui sono imbarcati sarà sconquassata da un furioso nubifragio, approderanno miracolosamente sull’isola ma per riconoscere i rei dagli artisti, il direttore del penitenziario li obbligherà a mettere in scena il testo shakespeariano. Il teatro diventerà la zona franca in cui ciascuno potrà ritrovare la propria umanità. E persino l’amore.

Una commedia che mette a confronto realtà e finzione, diversità, incomprensione, tolleranza, comprensione e la possibilità del perdono, che è il senso del film. “Volevo omaggiare Shakespeare e Eduardo, i capocomici che usano la lievità del racconto per arrivare al pubblico – spiega Cabeddu -. Il film parla del rapporto diretto fra un artista e lo spettatore, della necessità dell’arte per capire il mondo e, soprattutto, parla di uomini con le loro pulsioni e aspirazioni. L’Asinara ha in sé le caratteristiche metaforiche di una zattera-teatro del mondo. E’ un’isola incantata, dalla natura prepotente, ho cominciato a fantasticare che fosse proprio l’isola di Calibano”. Anche se non è stato facile portarci la troupe, senza alberghi, ristoranti, acqua calda, connessione per i cellulari, con un unico ostello dove hanno vissuto tutti gomito a gomito, in simbiosi, ma con un’atmosfera magica che ha favorito al massimo la concentrazione e che ha reso magico anche il film.

“Il mestiere dell’ attore è creare un’empatia coi colleghi- spiega Rubini, perfetto nei panni dello scaltro ma onesto capocomico -. La tua vita da attore prende forma con ciò che ti circonda, l’Asinara è un’isola inospitale ma un posto vero, con le sue ambiguità e i suoi pericoli, come i cinghiali che si aggiravano di notte, terrorizzandomi”. “La natura è stata importante – gli fa eco Fantastichini (efficacissimo nel ruolo del triste direttore del carcere)-, un luogo puro, anch’esso protagonista del film”. “Eravamo costretti a confrontarci su tante cose, lunghe disquisizioni sul teatro ci hanno uniti saldamente” aggiunge Saponangelo (la moglie del capocomico). “L’isola dà respiro al film, lo spazio necessario per una riflessione sulla storia che raccontiamo”  è il commento di Carpentieri (il capo camorrista) che da sempre sogna di portare in palcoscenico La tempesta, e considera il film “un avvicinamento”.

Era ora che il cinema desse spazio anche al teatro. “Stiamo attraversando un lungo momento di sofferenza nello spettacolo – sottolinea Fantastichini -, per piacere a tutti si vola basso. Viviamo un conflitto molto forte con la grande egemonia degli esercenti che pensano solo al profitto. La poesia è un valore da difendere con azioni concrete di sostegno, soprattutto dalla distribuzione”.  Il film affronta anche il tema del lasciar andare. “Avendo un figlio lo sentivo – aggiunge l’attore -, l’amore vero è lasciare liberi, non imbrigliare”.