Il DNA non mente. Leo Gassmann s’inserisce a buon diritto nella schiera dei grandi attori di famiglia. Dopo nonno Vittorio e papà Alessandro, ora anche lui ha superato abilmente la difficile prova, dando vita e voce al mitico “Califfo”, controverso poeta della musica leggera italiana del secolo scorso. Dunque promosso attore, ma con una marcia in più: saper cantare. Come dimostra ampiamente nel film tv Califano, in cui ripercorre la storia umana e artistica del cantautore romano, a dieci anni dalla scomparsa, resuscitandone magicamente il sorriso ironico, amaro, scanzonato, la stessa forza nel tenere la scena, nelle cadute e risalite. Un film emozionante, tratto dall’opera Senza manette scritta da Franco Califano con Pierluigi Diaco, diretto da Alessandro Angelini, prodotto da Greenboo con Rai Fiction, in onda domenica 11 febbraio in prima serata su Rai 1. A interpretare gli amici fedeli di sempre e le sue donne, nella vita e nel lavoro, una schiera di giovani, bravissimi attori.
La sera prima della messa in onda, Gassmann darà sfoggio delle sue doti attoriali al Festival di Sanremo, dove promuoverà il film facendo venire la pelle d’oca a chi ha amato le stupende canzoni composte dal mitico “Pasolini della canzone”. “Torno a Sanremo in un’altra veste – annuncia – sicuramente è un nuovo inizio su binari paralleli alla musica, per me era importante continuare il percorso artistico di generazioni”.

Il telefilm va dal periodo della Dolce Vita alla metà degli anni ‘80, per raccontare l’artista, l’uomo e il bambino di un tempo, in un dialogo costante tra loro. Gassmann ne ha vestito i panni senza diventarne l’imitatore, ma incarnando magistralmente le sue due anime contrapposte: quella del ragazzo di strada “affamato di vita” e quella malinconica di chi portava con sé i graffi di un’infanzia vissuta tra collegi e affetti perduti. Studiandone i gesti e i modi ma soprattutto “ascoltandolo”. Si è avvicinato a Califano con grande delicatezza, dandogli vita e voce per raccontarne i successi, ma anche le fragilità e il bisogno di chiudersi in se stesso, quel “se scrive libertà ma se legge solitudine” che ha caratterizzato la sua intera esistenza.
“Grazie ai racconti dei suoi amici di sempre, Alberto Laurenti e Antonello Mazzeo, ho potuto conoscere quel suo lato umano che lo rendeva speciale agli occhi di chi gli voleva bene – racconta Leo, presentando il film con il cast -. E’ la storia di tutto ciò che non è stato raccontato di lui, ci vorrebbe una serie lunghissima per sviscerare la sua vita piena di cose meravigliose”.

Roma, 1984. Al Teatro Parioli, mille spettatori attendono che salga sul palco il Maestro, il Poeta, il Saltimbanco, il Califfo. Di lì a poco però, sei uomini in divisa faranno irruzione nel camerino, gli metteranno le manette ai polsi e lo porteranno via facendolo sfilare davanti al suo pubblico basito. Si va indietro negli anni: Roma, 1961. Franco ha 22 anni, vive a Roma con la madre e il fratello, è orfano di padre, scrive poesie e sogna la Dolce Vita. Conosce Antonello Mazzeo, amico che gli resterà fedele per tutta la vita, e Rita suo primo amore, con la quale si sposerà e avrà la sua unica figlia. Ma a Califano la quotidianità ordinaria va troppo stretta e nel 1963 abbandona tutto e tutti trasferendosi a Milano, ospite di Edoardo Vianello. Qui inizia a scrivere canzoni, a frequentare più di una donna, a consumare droga e a fare amicizie importanti, come quelle con Gianni Minà e Ornella Vanoni. Iniziano allora i primi successi come autore e scout, ma l’uso della cocaina nel 1968, al culmine di una depressione, lo costringerà a trascorrere qualche mese in una clinica per disintossicarsi. Il Califfo però è determinato, ambizioso e ricomincia da zero: torna a scrivere brani di successo come “Minuetto” interpretato da Mia Martini; con Edoardo Vianello fonda la Apollo Records; scommette sui “Ricchi e Poveri” e li porta a Sanremo; vive una storia d’amore con Mita Medici. Eppure, anche questo momento di successi e apparentemente felice non è destinato a durare: ben presto Califano torna a sentirsi in gabbia, si allontana dalla Medici e viene nuovamente arrestato per droga. Il carcere è per lui un colpo di grazia, ma anche un’occasione di rinascita. Franco riesce ad ottenere gli arresti domiciliari e, grazie all’aiuto del grande amico Mazzeo, torna a scrivere ed incide l’album “Impronte Digitali”, la sua più grande eredità, il suo grande riscatto. Il film si chiude con un suo storico concerto organizzato al Teatro Parioli di Roma, una volta tornato in libertà.