Per trasmettere al mondo le forti emozioni provate di fronte al maestoso, avveniristico Museo Guggenheim di Bilbao il grande cineasta Sidney Pollack ha realizzato Frank Gehry creatore di sogni, un suggestivo e intenso documentario (dal 30 marzo nelle sale) che scava nella vita e nella mente del celebre architetto, genio creativo del nostro tempo, nato in Canada ma americano d’adozione. E’ il primo (e forse sarà anche l’unico) documentario realizzato dal regista settantatreenne, autore di film di successo come I tre giorni del Condor, Tootsie, La mia Africa, costatogli ben cinque anni di intenso lavoro tra interviste al protagonista (un giorno per ogni anno di riprese!), ai suoi collaboratori, agli amici e a vari artisti, persino al suo psicoanalista, e viaggi tra Stati Uniti, Giappone, Germania, Spagna, per catturare con la sua macchina da presa gli stupefacenti giuochi di luce e l’intensa poesia sprigionata da quei capolavori. “Quando Gehry mi chiese di dirigere questo lavoro gli risposi che non avevo mai fatto un documentario e non sapevo nulla di architettura – racconta Pollack -. Lui replicò che voleva raccontarsi come uomo, come pittore mancato, dirmi che cosa aveva significato per lui studiare le linee della cattedrale di Chartres e Alvar Aalto, ridisegnare a 49 anni la sua casa di Santa Monica facendo buchi nel muro per cercare la rifrazione della luce”.Nel documentario Gehry (il suo vero cognome era Goldberg ma lo cambiò perché in Canada, in quanto ebreo, aveva avuto vita dura e non voleva lo stesso per sua figlia) si confessa sul suo divorzio, sul secondo matrimonio, sui suoi ricordi di giovane povero costretto per vivere a guidare un camion, e poi studente universitario, di assiduo frequentatore e amico di artisti che sperimentavano nuove forme dello spazio e della luce, cosa insolita per un architetto, mostra come nascono i bozzetti dai quali prendono poi corpo i suoi capolavori.

Cosa ha dunque convinto Pollack a esprimere tutto questo attraverso una forma artistica a lui finora sconosciuta? “Non ho mai studiato architettura e non avevo mai fatto un documentario – confessa il regista -, ma il forte impatto emozionale di fronte al museo di Bilbao realizzato da Gehry mi ha suggestionato talmente da farmi capire le sue monumentali costruzioni. La vera grossa difficoltà – ammette – era entrare nella sua mente, capire cosa accadeva nel suo cervello, cosa vuol dire creatività, cominciare dal nulla e arrivare a quei risultati. Speravo di rubargli qualche idea utile per me, cosa molto difficile”. Ha provato un po’ d’invidia? “Molta – confessa -, io soprattutto verso gli scrittori come lui la prova per gli artisti. Un film come un monumento è un’opera collettiva, entrambi invidiamo le forme d’arte che somigliano alle nostre. Cinema e architettura sono forme d’arte a mosaico, la ricerca della luce è simile”. Esclude però nuovi documentari: “Non ho una passione particolare per questo genere, questo è stato un episodio particolare perché io stesso ero curioso di scoprire Gehry, ne ero affascinato. Come lo sarei stato per Kubrick, ma è troppo tardi. Mi hanno proposto una decina di persone ma non mi affascinano. Preferisco raccontare le mie storie con personaggi di finzione che io stesso creo”. E sul fronte cine e tv i progetti non gli mancano. Con la casa di produzione che ha in società con Antony Minghella sta producendo un film di David Franco, sta sceneggiando un serie tv tratta da libri famosi con protagonista una robusta donna detective. E per il cinema? “Dirigerò un docu-drama, o forse è meglio definirla ‘commedia’, sul ricontaggio delle schede in California per la seconda elezione di Bush. Meglio tardi che mai!”. Si divertirà ancora a fare l’attore in film di registi famosi come fu con Kubrick (Eyes Wide Shut), Altman, Allen? “Mi piace spiare gli altri registi, loro si tengono stretti i loro segreti ma dal set lo puoi fare, ho imparato tantissimo. Di recente ho recitato con Clooney nel film Michael Clayton e mi sono pure divertito a entrare per due puntate nella famiglia televisiva de I Soprano”.

di Betty Giuliani