
Valeria Bruni Tedeschi, assai apprezzata in Francia, nevrotica, simpatica per soli cinque minuti, di una bellezza al contempo stucchevole e “flamboyante”, realizza il suo primo lungometraggio che assomiglia molto alla sua vita reale, una famiglia ricca di origine torinese, la decisione di vivere a Parigi, una sorella nevrotica e alla ricerca di un qualsivoglia equilibrio nervoso (Carla Bruni? O una divertita parodia involontaria?) e la totale mancanza in questo cinema-teatro elegantemente borghese di ogni traccia di elementi grotteschi (a parte piccole scene di famiglia irresistibili più per l’interpretazione del padre/Roberto Herlitzka e la madre/Marysa Borini che per meriti della novella cineasta). Influenzata dalla stile di registi che l’hanno diretta in passato, Mimmo Calopresti e soprattutto Noémie Lvovsky, co-sceneggiatrice della pellicola (una simpatica e smargiassa filmmaker di taglia forte, tabagista all’ennesima potenza, diventato un caso in territorio d’oltralpe per il successo del suo ultimo lavoro, ovvero I sentimenti). Siamo di fronte ad un’opera dal tono personale che lascia l’amaro in bocca per rotture di ritmo e una sceneggiatura, a dir poco, imbarazzante ed ambigua (i lai della Tedeschi perché troppo ricca mettono i brividi).
A parte le piccole scene di animazione che conciliano con la pupilla ed ex compagna del tenebroso Calopresti, l’humour che sottende la trama è da Centro di Igiene Mentale e la celebre frase del Vangelo: “È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei Cieli” è una metafora fin troppo ovvia per chi conosce bene le peripezie di mettere insieme il pranzo con la cena (e anche un tantino “Volgare”…); ciò che perde il film frame dopo frame è la leggerezza iniziale, diventando un polpettone di lunghezza spropositata e anche la bellezza e l’eleganza di Chiara Mastroianni e il fascino gauchiste dell’attore Jean-Hugues Anglade sono ridicolizzati dall’egocentrismo dell’onnipresente Valeria. Quindi, se il centro dell’attenzione era una riflessione non seriosa sull’utilizzo del denaro e la ricerca di un senso esistenziale attraverso il lavoro e la quotidianità di un rapporto amoroso, basato non più su reciproche ripicche ed accuse di natura classista, ma sulla costruzione di una famiglia diversa da quella “originale” (Federica sogna di essere incinta dell’uomo che incontra nel parco, come una semplice casalinga), qualcosa di buono la Tedeschi lo ha fatto. Ma poi uno ripensa al contorto e malinconico faccino dell’attrice, alle sue gonne svolazzanti, alla sua voce tremula, alla sua querula e finta ironia e ci si chiede se il crudele François Ozon che l’ha voluta come protagonista principale nel suo prossimo film, possa schiacciarla. Lei e i suoi fantasmi e le sue ambasce familiari.
di Vincenzo Mazzaccaro