Dal 23 marzo la vicenda di Aung San Suu Kyi vista da Luc Besson

Un atto d’amore, verso una donna che ha sacrificato tutto per la lotta alla libertà del suo paese, la Birmania. Così il regista Luc Besson e gli attori definiscono The Lady, il film che ha aperto lo scorso Festival del Film di Roma e arriverà il 23 marzo in 150 sale distribuito da Good Fils. La pellicola racconta la straordinaria avventura umana e politica di Aung San Suu Kyi, la pacifista birmana impegnata da decenni contro la dittatura nel suo paese e per la difesa dei diritti umani.

Agli arresti domiciliari quasi ininterrottamente dal 1989 al 2007, separata a forza dal marito e dai figli residenti in Inghilterra, Premio Nobel per la Pace nel 1991. «Spero che attraverso questo film la voce di Aung San Suu Kyi possa fare il giro del mondo ed essere meglio conosciuta e condivisa dal grande pubblico», spiega Besson, tornato a Roma per l’uscita del film.

Più che l’aspetto politico il regista ha voluto mettere in luce la dimensione umana di questa donna che ha sacrificato i suoi affetti più cari alla lotta per liberare il suo paese. Malgrado non sia riuscito mai a incontrarla, per rispettare al massimo la realtà il regista ha girato molte scene nella vera casa dove lei viveva con marito e figli a Oxford. «La cosa più difficile è stata raccontare la permanente incertezza in cui viveva, senza andare sopra le righe».

Besson è riuscito a incontrarla solo a film finito. «Lei non ha ancora visto il film, mi ha detto che lo farà quando si sentirà abbastanza forte, l’impatto emotivo è molto forte». Infatti è un toccante ritratto umano, vedendo il quale non si può non partecipare con viva emozione al profondo e doloroso tormento che ha accompagnato questa granitica, piccola donna, in questi decenni di lotta, all’insegna della non violenza.

«Quando Michelle Yeoh, protagonista del film, mi ha portato la sceneggiatura, l’ho letta e ho pianto – racconta il regista -. La storia di questa piccola donna che senza armi tiene testa a migliaia di militari è un simbolo di libertà che mi affascina e mi commuove sempre. Va bene parlare di lei così forte per far mollare il freno a chi ancora governa laggiù. La via della democrazia è segnata dal sangue, basta vedere la primavera araba».

«Lei per trent’anni l’ha portata avanti con la non violenza, una strada più lunga. Ma speriamo che alla fine ce la faccia a governare il suo paese, quando sarà diventato finalmente democratico. Sicuramente le elezioni del 1 aprile per il rinnovo del parlamento in Birmania saranno le più aperte e pubbliche finora in quel paese, anche se non si può dire che saranno totalmente libere», commenta Besson.

«Il governo si è spinto troppo avanti per poter far marcia indietro, è con le spalle al muro. Credo che Aung San Suu Kyi sara’ eletta e spero che fra un paio d’anni diventI il presidente della Birmania, agirebbe per il bene del suo popolo, è la sola capace di riunire le 120 etnie, molte delle quali in lotto col potere. Il suo messaggio di pace potrebbe portare democrazia».

Ma forse resterà un’utopia, visto che alle ultime elezioni la metà dei seggi erano riservati ai militari e il 95% dei candidati della metà restante erano al 50% ex militari. Molti dei quali arricchitisi trafficando con petrolio, droghe, armi, pietre preziose e che, in barba all’estrema povertà dei civili, sfoggiano fiammanti Ferrari e Rolls. Ma per lo stato pietoso delle strade, le possono far circolare soltanto all’interno dei cortili delle loro sontuose case.