Claude Chabrol, più che maestro del noir si sta trasformando in un entomologo che scava sulla cellula famiglia e sui rapporti amorosi. Sempre più cinico, smagato, assolutamente pessimista nei confronti delle atrocità che si annidano in un casa, le relazioni tra genitori e figli non lasciano spazio a nessuna emozione positiva. O regna l’ipocrisia, come nel precedente Il fiore del male o come in questo, presentato a Venezia 61 fuori concorso, la convinzione che solo un amore assoluto e passionale sleghi cordoni ombelicali e obblighi parentali, che il, cineasta vive come un abominio. A dirla tutta, Chabrol racconta il niente con assoluta grazia e le trame sono un pretesto per mettere, poi, ad un certo punto un cadavere: Philippe, bravo ragazzo di venticinque anni che lavora nel settore edile vive con la madre e due sorelle minori in un quartiere di periferia, fino al giorno dell’incontro con Senta. Senza avvitarsi troppo nella sinossi, basti dire che l’incontro con la sensuale fanciulla lo pone di fronte a scelte che prende un poco alla leggera, ed infatti coma prova d’amore Senta vuole che ciascuno di loro dovrà uccidere un estraneo.

E lei lo fa. Tutta la solfa, però, che loro sono due destini che si incrociano, due esseri superiori fuori da ogni morale e religione con il culto per l’atto gratuito (uccidere un barbone significa togliere un po’ di sozzura…), la filosofia spicciola e “letale” di Senta ce la rende patetica, non solo perché Philippe crede che sia una bugiarda perditempo, ma perché lo spettatore ha capito che il giovane maschio la asseconda per fini soprattutto sessuali (le affinità elettive, per Chabrol, non esistono!). Trasposizione cinematografica del romanzo omonimo di Ruth Rendell, il film ha i difetti dell’ultimo Chabrol: una eccessiva indulgenza e una spietatezza annacquata, ed in primis un compiacimento “boccacesco” che Hitchcock (suo mentore o suo incubo?) non si sarebbe mai perdonato. Due parole sugli attori principali: Laura Smet (Senta), per quanto brava, non diverrà mai la nuova Isabelle Huppert, non ha niente di patito, è tutta un fiore, mentre Benoit Magimel (Philippe) ha un appeal da pugile dimesso irresistibile.

di Vincenzo Mazzaccaro