Fahrenheit 9/11 arriva nelle nostre sale preceduto dalla sua fama di film inchiesta, film anti-Bush, film di denuncia contro l’imperialismo americano sinora sbandierato a piene mani dal presidente George W. Bush. Sul contenuto del documentario di Michael Moore, vincitore della Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes, ognuno trarrà le proprie conclusioni. Ma è innegabile che, oltre alla chiara militanza politica, qualcos’altro abbia attirato a frotte gli spettatori di tutto il mondo nelle sale (oltre cento milioni gli incassi, cifra record per un documentario) e li abbia costretti a confrontarsi con la realtà che oggi ci circonda (dall’Iraq all’Afghanistan agli episodi di Guantanamo e Abu Grahib) e con l’altra realtà, quella che ci sfugge di mano. Quella che, per esempio, passa attraverso le cuffie dei soldati americani in Iraq, che sparano dai blindati a tempo di Rock. O quella degli stessi soldati che fanno ritorno in patria rinchiusi in casse di legno stipate negli aerei, ma di cui è vietato parlare e soprattutto filmare.

Sono, come ha scritto Furio Colombo, “cadaveri fantasma” perduti nell’oblio di una guerra altrettanto fantasma, quella combattuta tra le strade insidiose di Bagdad, Falluja, Najaf dove la morte e il sangue, e gli arti amputati (che nel film fanno capolino, per la prima volta, in lunghe sequenze) sono stati come “omessi” dalle telecamere che, ogni giorno, portano la barbara involuzione del conflitto iracheno dentro le nostre case. Cosa rimane del film di Moore? Non l’ideologia, che non è nemmeno spinta ai massimi livelli, e nemmeno il sarcasmo verso la figura che ne esce del presidente americano, una maschera involontariamente comica, un cinico manipolatore o soltanto uno stupido come da molti è stato scritto. Senza tener presente che una bella figura non la fa nemmeno la sinistra americana, il cui corporativismo di casta e la cui ipocrisia sono denunciati a dovere dal regista-bulldozer che li randella armato di microfono e camera a spalla. Rabbia e delusione per come, tutti quanti noi, abbiamo assistito impotenti e disarmati all’escalation di morti invane, importate anch’esse e buon mercato nelle nostre tv ormai assuefatte ad ogni tipo di sconcezza e terrore.

di Beatrice Nencha