Con tante difficoltà di distribuzione, ecco il film “Bellas mariposas”

Una Sardegna ruvida, lontana anni luce da quella patinata dei ricchi vacanzieri estivi. Un quartiere ghetto degradato, come in tante periferie delle grandi città. Due ragazzine che soffocano tra i loro sogni la miseria materiale e morale che avviluppa le loro affollate e sgretolate famiglie. Sono le Bellas mariposas, le “belle farfalle” catturate dal regista Salvatore Mereu per il grande schermo, che si raccontano in questa pellicola delicata e violenta, densa di poesia.

Un sorta di piccola Gomorra sarda, raccontata come un documentario, che suscita sconcerto e tenerezza, ispirata all’omonimo racconto di Sergio Atzeni, che ha visto la luce grazie alla tenacia del regista. Mereu si è infatti trasformato anche in produttore (con l’aiuto di Gianluca Arcopinto, della Cineteca di Bologna, il sostegno finanziario di Rai Cinema, del ministero e della Regione Sardegna), ha portato il film alla scorsa mostra di Venezia dove si è meritato il premio Schermi di qualità, mietendo  riconoscimenti a festival internazionali tra cui Rotterdam e Bari.

Malgrado le difficoltà sempre maggiori della distribuzione, per non vedere il finire film “congelato”, lo ha fatto uscire in Sardegna, dove il romanzo era già noto e dove ha conquistato 32 mila spettatori in due settimane. E ora finalmente lo vedrà farsi largo, ma sempre a suon di buona volontà degli esercenti, dal 9 maggio nelle sale delle principali città italiane. E a fine giugno approderà pure in Olanda e Belgio.

Protagonista della storia è Cate (Sara Podda), undicenne sognatrice che vive tra tanti fratelli e un padre disoccupato (Luciano Curreli) alla periferia di Cagliari. Determinata a fare ad ogni costo la cantante, per sfuggire al degrado e non finire come sua sorella maggiore (Silvia Coni), rimasta incinta a tredici anni, che ora si prostituisce. Segretamente innamorata del coetaneo Gigi (Davide Todde) che uno dei suoi fratelli (Simone Paris), minaccia seriamente di morte, farà di tutto per proteggerlo, tra una spensierata gita al mare con l’amica del cuore Luna (Maya Mulas) e la sarabanda, a suon di spari, tra le colorite presenze dei vari inquilini dell’alveare in cui vive.

Mereu l’ha girato in quindici settimane nel quartiere Sant’Elia di Cagliari, dove era conosciuto come insegnante, con una troupe ridotta al minimo, spendendo poco più di un milione e mezzo di euro, facendo casting nelle scuole, provando in palestra. «Nel quartiere mi hanno accettato perché da un anno ero il professore dei loro figli – racconta-. Ho costruito il gruppo dei protagonisti sulle due ragazze scelte. In quei mesi di convivenza  si è creata tra loro una forte empatia. Il racconto non ha dialoghi, ho mirato la sceneggiatura sugli attori, tutti non professionisti, puntando soprattutto sulle vere emozioni dei ragazzi.

La protagonista non dava garanzie, le ho fatto vivere il film come un gioco, assecondandola fino in fondo». «Ne ho visti mille di uomini come il padre di Cate, porcaccioni e disoccupati – racconta Luciano Curreli -, Mereu ha affrontato con leggerezza temi davvero duri, ha portato il racconto della Sardegna a un altro livello, guardando a come è diventata. Questo film mi ha guarito dai conflitti col passato, ho fatto pace con questa Cagliari che ero arrivato a odiare – confessa -. Come attore mi capitano spesso personaggi negativi, ho criticato questa canaglia come faccio con me stesso».