È ancora una volta il fato a cucire nella scansione temporale di 36 ore i destini dei protagonisti di Crash, ultima straordinaria proiezione sulle conseguenze provate dagli Stati Uniti post-undici settembre: un ammasso di anime e corpi che per collidere hanno bisogno di un urto, un colpo brutale in grado di avvicinarli l’uno con l’altro. Non molto tempo addietro una regista, Jill Sprecher, tentava con esiti assai soddisfacenti di affrontare il medesimo argomento con un piccolo film Tredici variazioni sul tema dove le sorti dei vari personaggi erano legate da un confine di incomunicabilità e da un’amara solitudine. Ora con obiettivi diversi, uno sceneggiatore di provata esperienza, Paul Haggis (attuale collaboratore di Clint Eastwood) si affida alla bravura degli interpreti (su tutti Matt Dillon e Terrence Howard, ma anche un’ inedita Sandra Bullock e un ritrovato Brendan Fraser) per mostrare l’America oggi fomentata dalla rabbia, l’intolleranza e le diversità sociali. In una nuvola di fumo prodotta da un auto sul sorgere di un’esplosione e dal ritrovamento di un corpo nei pressi di una scarpata si alternano, avvicendano e intersecano le differenti esistenze di un gruppo di cittadini di una isterica Los Angeles. Come una miccia pronta a infiammarsi, la furia e l’egoismo che pervadono i corpi degli indifferenti mattatori a tratti è disarmante e l’intuizione di regalare un’illusoria traccia di casualità da realismo magico non può che impreziosire un’opera pregna di riflessioni.

Sulle rive della tragedia contemporanea la macchina da presa esplora le psicologie dei protagonisti alle prese con una vita balorda: le minacce di alcuni teppisti ai danni di una famiglia persiana (scambiata per araba), la xenofobia esercitata da un poliziotto vittima di una quotidianità di frustrazioni per assistere il padre malato, le logiche del potere che assoggettano allo stesso tempo un regista di colore del piccolo schermo al suo produttore bianco e i doveri di uno scaltro procuratore sempre più distante dalla propria famiglia, sono alcuni dei fili conduttori di una cronaca culminante in una parziale ma tutt’altro che definitiva assoluzione. Crash non è l’ennesima analisi entomologica alla Altman sulla specie umana come tanti insetti ripresi dall’alto da un elicottero, anche perché in quel caso le trame venivano servite al cineasta dalla prosa minimalista di un grande osservatore della spietata realtà americana, Raymond Carver. Qui gli avvenimenti sembrano prendere piede molto velocemente senza distinguere i buoni dai cattivi. Prendendo spunto da un fatto realmente accaduto, il furto di una macchina, Haggis, arriva a mostrare la propria “invasione da ultracorpi” del nuovo secolo in una nazione distratta e in costante allerta: gli incubi da odierna caccia alle streghe, la paura del diverso, la cultura del sospetto, riemergono dalle nebbie dei tempi proprio in questo periodo di confusione oltre che politica anche sociale ed economica. Una pellicola coraggiosa per ricordare le assurdità di un sistema incanalato sulle strade dell’autodistruzione.

di Ilario Pieri