Un’orchidea per vivere in eterno. E un anaconda per sfornare B-movie adatti a palati coperti di callo. L’anaconda, mostro-icona facile sintesi di paure e allusioni, pruriti e orrori, si sa, può sempre funzionare per gli amanti del genere avventura in salsa horror. E l’orchidea rosso fuoco che fiorisce solo per due settimane ogni sette anni nella foresta pluviale del Borneo è il pretesto di questo Anaconda: alla ricerca dell’orchidea maledettadiretto da Dwight Little, che arriva (perché pare che Verna Harrah, dopo aver prodotto il primo morisse dalla voglia di produrne un secondo) quasi otto anni dopo Anaconda firmato da Luis Llosa ma interpretato da un cast ben più significativo, anche se ridicolmente sfruttato. Dal Jon Voight cacciatore di serpenti pronto a tutto e ossessionato dal serpentone che vorrebbe catturare vivo (e non importa quanti suoi compagni di viaggio riesca a mangiare nel frattempo), a una Jennifer Lopez ancora non lanciata e in versione alquanto dimessa, a un Ice Cube ancora poco convinto di sé. Qui, invece, i protagonisti hanno nomi che non ci dicono granché, da KaDee Strickland a Matthew Marsden, da Nicholas Gonzales a Eugene Byrd e sino al più noto Johnny Messner qui capitano statuario e inespressivo alla maniera di The Rock.

Ma ciò che conta è che nulla di loro ci dice granché. Né il loro agitarsi dentro le dinamiche del genere qui più schematiche e prevedibili che mai, né il loro terrore di continuo stampato maldestramente sulla faccia mentre da ogni parte sbucano anaconde, unico pretesto possibile dentro un plot irrisorio persino per un b-movie. Con questo gruppuscolo di scienziati avidi e di ingenui che su una carretta dell’acqua, capitanata dal solito impavido avventuriero in fondo dal cuore buono, si spingono su fiumi e verso foreste in cui nessuno potrebbe sopravvivere senza equipaggiamento adeguato e i nostri eroi non hanno più quasi nulla dopo che la barca si è infranta sotto una cascata. Si spingono, appunto, alla ricerca dell’orchidea dell’eterna giovinezza, costretti, dopo un succedersi di tragedie, a continuare il viaggio dallo scienziato ideatore della spedizione e determinato a portare a casa le orchidee (e se stesso ovviamente) a costo della vita di tutti gli altri e non certo per amore della scienza. E il viaggio si consuma tra spaventosi assalti di anaconde che non spaventano e terrificanti morti che non terrorizzano, planando allegramente sulla sospensione dell’incredulità dello spettatore (che ci vuole sempre) ma senza dar nulla in cambio.

Neppure in termini di effetti, più corposi persino nel film precedente, dove almeno c’era un mostro prodotto dell’animatronics, mentre qui c’è un mostro, o meglio una frotta di mostri che si intravedono soltanto e che dovrebbero apparirci realistici, almeno secondo le buone intenzioni del regista che chiosa: «Abbiamo esaminato gli anaconda, ma anche pitoni, serpenti a sonagli e altri rettili per trovare gli occhi, i denti, il palato, i suoni che potevano fare al caso nostro. Non volevamo affatto creare un mostro marino, cercavamo il realismo ma il nostro mostro doveva sembrare un po’ più intelligente di quanto suggerisca l’espressione di un vero anaconda e anche più sveglio e più vivace. Così ci siamo presi qualche licenza per farlo somigliare di più a una creatura pensante». Basterebbero queste parole per darci un’idea di chi ha fatto che cosa. Ma ce ne sono persino delle altre, stavolta del produttore esecutivo Jacobus Rose. Ancora più esilaranti: «Abbiamo dovuto costruire strade per raggiungere i luoghi delle riprese, abbiamo scalato montagne, ha piovuto parecchio, si girava di notte nella giungla. Faceva caldo, c’era molta umidità e tante, tante zanzare dappertutto. Ma attori e tecnici sono stati fantastici… Abbiamo girato un grande film d’avventura che è anche un grande film dell’orrore!». Se lo dice lui…

di Silvia Di Paola