di Andrea Bajani, Feltrinelli 2025
Un Premio Strega imperfetto ma necessario. Dieci anni prima dell’inizio della narrazione, il protagonista del racconto ha lasciato la sua famiglia d’origine, la casa, i contatti, il luogo geografico. Ha cambiato numero di telefono e ha alterato la sua vita per sfuggire a qualcosa che scopriremo solo leggendo il breve romanzo di Andrea Bajani (127 pagine), vincitore del Premio Strega 2025. Lo sfondo è quello di una famiglia apparentemente normale, borghese, incardinata su regole non scritte ma che nasconde un clima asfissiante, fatto di dinamiche oppressive. Nonostante l’allontanamento fisico e la costruzione di muri psicologici, il protagonista/narratore non evita la memoria di quel padre autoritario e madre remissiva, artefici di un caos emotivo che non lascia scampo.

Vero nucleo centrale di un romanzo che non decolla mai, perché non ci sono peripezie ma un’unica sostanziale riflessione, è la violenza non fisica ma psicologica. Un nucleo familiare dove il controllo e la repressione individuale fungono da innesco per la deflagrazione e l’espulsione del protagonista verso altri lidi dove tuttavia non è mai possibile trovare serenità. Il racconto diventa quindi una sessione di psicanalisi in cui la memoria seleziona accuratamente cosa raccontare e cosa lasciare in ombra, diventando vera e propria costruzione narrativa. È chiaro che così procedendo la verità personale potrebbe non coincidere con la verità fattuale e il vero soggettivo assume autorità propria.
Il lettore è così portato a giudicare la fuga del protagonista come una resa al cinismo piuttosto di un percorso di liberazione fatto di fratture e perdite. Ma la vera resa è quella della madre che interiorizza, che fa propria un’invisibilità imposta dall’autoritarismo patriarcale.
La sobrietà della prosa di Bajani evita l’eccesso emotivo ma illustra con freddezza il contrasto tra il dolore interiore e le azioni concrete, anche quando esse sono solo immaginate e non eseguite. Il narratore si esprime con una pietà che non è indulgenza, che esprime una spietata tenerezza. Possiamo fare un paragone con due scalatori in difficoltà a duemila metri di altitudine: a un certo punto il capo-cordata lascia andare il compagno perché raggiunge la consapevolezza che l’altro non può salvarsi e presto cadrebbero tutti e due nel baratro.
Il romanzo pecca nella mancanza di punti di vista, laddove le figure della madre e del padre sono rappresentate solo attraverso la memoria del figlio. Così facendo, quel certo controllo nella scrittura impedisce al lettore di calarsi maggiormente nella sofferenza. Se con Il libro delle case (2021) Bajani esplorava l’identità attraverso gli spazi abitativi, qui si entra in modo radicale nel paesaggio interiore mettendo in pratica l’esercizio interiore in Se consideri le colpe (2007). Ne L’anniversario non c’è un’esplicita confessione come in Addio Fantasmi di Nadia Terranova, ma Bajani sceglie di illustrare il dramma attraverso le tensioni quotidiane. Alcuni critici hanno fatto raffronti con Lalla Romano e la sua abilità di raccontare proprio attraverso le omissioni.
Acquistando un Premio Strega si rischia di avere delle aspettative che questo libro in parte non soddisfa. Mi viene da dire che non è un’opera che brilla per perfezione stilistica o contenuto, quanto per la sua necessità. Nella letteratura italiana contemporanea c’è bisogno di uno spazio politico per l’esplorazione delle dinamiche domestiche dove il patriarcato è sì scardinato a livello normativo, ma permane come macro-tema sociale.
«Per molti anni ho costruito intorno a quella notte una sorta di evidenza, quella di un organismo familiare fondato sulla violenza espressa con le mani. Il sangue di mia madre sulla testa, la corsa dei due poliziotti, l’appartamento devastato, l’armadio sventrato dalla furia di un uomo in preda a una violenza incontrollata: tutto questo era sufficiente per chiudere il ritratto familiare, e quindi la porta di casa.»