“Il tempo delle mele” sul rap. Un “musicarello” 2.0. Cosimo Alemà definisce così il suo Zeta, film generazionale che racconta i giovani d’oggi e il loro tanto amato mondo musicale hip-hop, nelle sale dal 28 aprile. Esperto di videoclip, per il suo terzo lungometraggio il quarantaseienne regista romano ha pescato tra i vip di questo genere oggi tanto in voga, come IZI (al secolo Diego Germini, alla sua prima prova di attore nei panni di Alex, il protagonista della storia) con Fatt Mc, Fedez, J-Ax, Salmo, Clementino, Ensi, Briga, Baby K, Lowlow, Tormento, Rancore, Shade, Noyz Narcos, Shablo, Metal Carter, Rocco Hunt. Ottima prova per l’attrice debuttante Irene Vetere e per i già collaudati Salvatore Esposito (Gomorra – la serie) e Jacopo Olmo Antinori (Io e Te di Bertolucci; I Nostri Ragazzi di De Matteo).

“Se vuoi cambiare la tua vita non devi aspettarti che lo faccia qualcun altro per te. Il rap è il mio destino. Mi chiamo Alex, e questa è la mia storia” esordisce il protagonista. Una storia d’amore, di amicizia, di riscatto sociale che ha per protagonisti tre amici ventenni con il sogno di fuggire dalla misera vita tra i casermoni di periferia. Sfondare nella musica, un sogno che per Alex diventa realtà, catapultato nel mondo dell’hip-hop a giocarsi la sua partita e a far vedere quanto vale.

Un film, sottolinea Alemà,  in grado di raccontare senza fronzoli i giovani di oggi e il mondo del rap in Italia, che con migliaia di proseliti è diventato un vero e proprio fenomeno di massa che il cinema non può continuare ad ignorare. Ha dunque dato vita a un buon racconto reale e metaforico, in grado di parlare del rapporto tra individuo e identità culturale, in un mondo che sempre più tende a creare occasioni di contaminazione, di confusione e crisi identitaria, soprattutto quando si parla di giovani.

Pensato come un romanzo di formazione il film è calato nel reale per mettere in luce tematiche urgenti e attuali della società odierna.
Per i ragazzi che si isolano sempre più, escono poco di casa, il rap è il veicolo perfetto per comunicare tra loro, attraverso un linguaggio sincero, senza rime. Il rap, spiegano, è il loro modo di gridare la rabbia, per molti un’ancora di salvezza dalla malavita. Un grande recipiente per inserire concetti, rompe le parole e le ricostruisce, come una spada rompe le convenzioni, i preconcetti creati dalla società.