Violenza, rapimenti, traffico di feti umani, riti di santeria in cui vengono squartati cadaveri. Il terzo film di Alex De La Iglesia non a caso segue El dia de la bestia (noto più che altro per la presenza della nostra Cucinotta), riprendendone le velleità sataniche e i toni di violenza orgiastica. Il regista iberico prende in prestito i due personaggi creati nei romanzi di Barry Gifford e già utilizzati nel Cuore selvaggio di David Lynch, anche se, a onor del vero, Rosie Perez è lontana anni luce dalla Rossellini. Perdita Durango è una donna affascinante quanto spietata, una vedova nera che attira gli insetti per mangiarli; Romeo (Javier Bardem) ama definirsi uno “scienziato” (del crimine), specializzato in traffici illeciti al confine tra Messico e Stati Uniti e in spettacoli di Santeria. L’incontro/scontro tra questi due individui diviene pressoché inevitabile, come quello delle uniche due auto esistenti nell’isola natale di Romeo, lunga cinque chilometri e larga uno e mezzo, ed il film non è altro che lo sviluppo di questo incontro.

Dopo una scena iniziale molto promettente, con un giaguaro che tira via le lenzuola di raso dal letto di Perdita, il film di Alex De La Iglesia imbocca la strada dell’ “horror road movie” con frequenti scene di violenza gratuita e ostentata trasgressione. Perdita Durango è uno di quei film che potrete divertirvi a trovare in sedici differenti versioni in giro per il mondo. La prima, l’originale spagnola del ’97, era di 124 minuti già con qualche taglio, poi ne seguirono una australiana di 118 e una inglese con altri 37 secondi di tagli: a farne le spese sono state le scene di nudo, anche quella iniziale, il rapimento e la scena di sesso tra Perdita e Romeo. Ora le perverse strade della distribuzione internazionale fanno arrivare questo film nel nostro paese subito dopo l’uscita di un’altra opera di De La Iglesia, Crimen Perfecto, di tutt’altro registro. Il risultato è una certa confusione sui periodi produttivi di questo interessante regista spagnolo, che sicuramente non considera lui stesso Perdita Durango come la sua opera migliore, anzi, ne parla come il risultato di un periodo di crisi creativa.

di Alessio Sperati