Tutto è cominciato nel 2003, quando l’allora ventiquattrenne Jared Hess, mentre studiava presso la Brigham Young University, diresse, in appena due giorni e con soli cinquecento dollari, lo “short” Peluca, poi scelto come uno dei dodici film in competizione nella sezione cortometraggi dello Slamdance Film Festival e interpretato dallo studente di animazione Jon Heder. Dopo quella tanto acclamata commedia di circa nove minuti, Hess si sentiva pronto ad approdare al lungometraggio, iniziò quindi a scrivere la sceneggiatura del film che poi avrebbe portato sullo schermo, ancora una volta interpretato dall’eccezionale Heder, e di cui dice: «I personaggi di Napoleon Dynamite si ispirano largamente alle persone con cui sono cresciuto nell’Idaho e in particolare ai miei cinque fratelli più piccoli e agli amici di scuola. In linea di massima, ho parlato di quel tipo di giovani la cui storia non è mai stata realmente raccontata, giovani come il ragazzino sfigato seduto vicino a te nel corso di matematica e che disegnava animali mitici, o quelle persone con cui non hai mai parlato o che non hai mai veramente conosciuto». Capelli ricciuti, stivaletti spaziali, pantaloni sbracati, una stupida palla appesa ad una corda con cui gioca da solo: ecco a voi Napoleon Dynamite, studente goffo e sfigato che, però, è riuscito a rivoluzionare la Preston High e a far avverare i sogni più folli dei suoi amici. Quindi, contornato da uno stuolo di grotteschi personaggi, come il fratello trentaduenne Kip (Aaron Ruell), il muscoloso zio Rico (Jon Gries) il suoi unici amici Pedro (Efren Ramirez) e Deb (Tina Majorino), Napoleon è la rappresentazione fisica, nel contempo, dell’ultimo reietto, ma anche di un riluttante eroe di una generazione allo sbaraglio.

La coppia Heder-Ramirez in un certo senso è avvicinabile all’esilarante accoppiata Jim Carrey-Jeff Daniels di Scemo e più scemo(1994), a partire dal fatto che la sola entrata in scena di Napoleon, con la sua fisicità così particolare, suscita risate. Ma è proprio questo accostamento che ci spinge a riflettere per comprendere quanto e perché Napoleon Dynamite sia un elaborato tutt’altro che riuscito. I momenti divertenti ci sono, ma non basta una manciata di esilaranti gag a rendere grande una commedia; inoltre, il regista, a differenza dei fratelli Bobby e Peter Farrelly, capaci di affrontare in maniera estremamente demenziale delicati argomenti favorendo l’emersione di una certa, tutt’altro che buonista e fastidiosa morale, pone al centro della pellicola uno scottante tema come quello dell’emarginazione sociale, decidendo di prendere, però, la strada dell’ironia. Ed il risultato finale, soporifero ed interminabile a causa della piatta regia, oltre a non funzionare come film da ridere, lascia trasparire un fondo tremendamente razzista, il quale, se da un lato ci fa sentire come i cosiddetti “nonni” che s’incontrano negli anni del servizio militare, vigliaccamente capaci soltanto di sbeffeggiare e deridere i più deboli, dall’altro vuole che ognuno possa frequentare soltanto i propri simili: in questo caso, gli sfigati con gli sfigati. E se ciò non era nelle intenzioni di Hess, è forse il caso che vada a studiarsi indispensabili nozioni di scienze della comunicazione.

di Francesco Lomuscio