Dopo l’immersione nella realtà sentimentale odierna con Una relazione privata, che valse la Coppa Volpi a Nathalie Baye a Venezia 1999, Fonteyne continua a parlare ostinatamente al cuore delle donne. Qui sposta la vicenda in un ambiente operaio, siamo nel 1930, un piccolo paese della provincia francese, tra atmosfere sospese che ricordano i romanzi non polizieschi di Simenon e a ritroso i Trois Contes di Gustave Flaubert. Al centro una donna felice delle sue piccole cose: una casalinga totalmente dedita a due figlie gemelle, ma soprattutto al marito, che lavora agli altiforni. Non chiede molto alla vita, Elisa, ama incondizionatamente. La cifra stilistica del film è evidente sin dalle prime sequenze: l’attesa del marito, la cena, l’amore coniugale. Poche le parole, in un calibrato gioco di occhi che si incrociano e di sorrisi, a volte stanchi, a volte increspati da una sottile noia, di chi è consapevole che niente potrà turbare il quotidiano tran tran. La macchina da presa del cineasta di origine belga è sempre sul viso di Emmanuelle Devos/Elisa, sulle sue mani, appare sprovveduta ed insignificante, buona solo a sfornare figli. Non di meno, traspare da subito un senso di tragedia imminente, di cambi di prospettiva, di lugubri scenari inaspettati.

Gilles inizia a disinteressarsi delle gemelle, ha occhi solo per la sorella della moglie, Victorine, che ha visto nascere e lo spettatore vive questo improvvisa passione, totale, assoluta, senza rimedio, con gli occhi di Elisa. Un uomo assorbito dal suo pesante lavoro, che si concede solo qualche bevuta nel bistrot locale, assolutamente privo di qualsiasi charme, ma forte, vigoroso. A Victorine non interessa sfasciare la famiglia, preme il potere della seduzione, il gioco amorale di chi si sente meschinamente al centro del mondo. Non ama Gilles ed è il suo punto di forza, mentre la moglie deve sopportare la verità, la confessione, le strategie (sarà lei a pedinare la sorella quando si incapriccia di un altro). Si trascina col maschietto appena nato tra il gelo di un inverno che non vuole finire, fino all’ultimo gesto di disperazione. La Devos è assolutamente mirabile, nemmeno in Sulle mie labbra di Jacques Audiard era arrivata ad una così totale identificazione con il suo personaggio (e, peccato, non può aspirare nemmeno ad una meritatissima coppa). Talmente brava da ricordare le donne “chabroliane” della Huppert e da far sfigurare gli altri due colleghi, Clovis Cornillac e Laura Smet, peraltro assolutamente in parte. Film imperdibile anche per la genialità di un cineasta che non ha paura di primissimi piani, di una sceneggiatura scarna ed essenziale, che sa dare il senso del baratro della passione sin dalle prime scene, che non teme l’inattualità nella rappresentazione di una donna assolutamente priva del desiderio di vendetta. Niente da dire, dieci e lode.

di Vincenzo Mazzaccaro